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Le opere, provenienti dall' "Archivio Mascherini", mettono in luce il percorso creativo dell'artista friulano, dall' attenzione alla realtà e alle sue proposizioni plastiche, proprie degli anni Venti, all'acquisizione di un ritmo personale nell'ambito delle esperienze attraversate nel corso dei decenni che non lo allontanano, tuttavia, da quell'originale sapore arcaico di cui si era nutrito giovanissimo durante gli anni di guerra. Un'antologica, quindi, che attraverso l’opera grafica, ricorda come l'artista abbia sviluppato la sua personalità con l'intento di svelare il pensiero che precede la creazione, alla continua ricerca della forma e allo stesso tempo dei valori simbolici universali, dal mito alla natura.

L'attenta analisi delle xilografie, delle incisioni e delle litografie di Mascherini svela una creatività fortemente legata alla pratica del disegno. Nelle sue opere, infatti, molto evidenti sono i valori grafici della composizione, accompagnati da una sapiente campitura degli spazi, da una sicura gradazione dei toni e da una grande capacità nel dare forma alle cose, anche attraverso tocchi leggeri e sottili. Nelle figure, filiformi ma dotate di un tratto che ne traduce tutta la plasticità, si intrecciano, in nome di quel suo amore per il mondo antico, elementi classici e contemporanei con l’intento di rinnovare quei miti che diventano grandiose rappresentazioni visive di una realtà ancora viva. Il mito, quindi, diventa per Mascherini il tramiteattraverso cui espimere la totalità dei valori umani, come ben individua Alfonso Gatto scrivendo per l'Orfeo di Mascherini: "quel che di se stesso il mito può tacere con un imperativo del silenzio e della figura muta più forte della sua voce, è ancora memorie di cose non viste e credute, una contemporaneità, nello spazio visionario, dei tempi accaduti o da venire sulla terra".
Poetica, aspirazioni e risultati stilistici sono stati indicati con precisione dallo stesso Mascherini, in occasione della mostra personale del 1959 nella Galerie David et Garnier di Parigi: ''Nello sforzo che sostengo per mantenermi in un linguaggio figurativo, io propongo la mia scultura come un oggetto il quale trova in se stesso le sue leggi: la forma del quale deve essere giudicata secondo l'equilibrio dei pieni e dei vuoti e dei chiari e scuri, come una forma pura: forma che tuttavia resta carica di un profondo sentimento umano''. Nel 1953, sempre a Parigi, Ossip Zadkine, presentandolo nella mostra alla Galerie Drouant-David, aveva sottolineato questa necessità di muoversi ''tra quel piccolo numero di principi immutabili che attraversano la storia dell'arte e l'evoluzione della scultura come un rivo di cristallo''. 

 

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